Speciale Fanzine – RRROOOAAARRR N.1 (1987)
Il primo numero di RRROOOAAARRR esce nel 1987 e a raccontarci tutto c’è l’amico Michele Giorgi. In futuro pubblicheremo un ulteriore articolo riguardo il secondo numero della zine e perchè no, la presentazione di altre vecchie fanze storiche italiane. In fondo all’articolo avete la possibilità di scaricare la fanzine in formato pdf, stamparla e sfogliarla come nel 1987!
Buona lettura!
Di solito sono un tipo loquace, quasi logorroico, anche quando si tratta di scrivere provo raramente la sensazione di paura da foglio bianco, la difficoltà nel mettere nero su bianco quello che provo o penso riguardo un determinato argomento. Eppure questa volta devo ammettere di aver tentennato non poco, vuoi per la distanza temporale e le molte cose successe dai giorni in cui si sono svolti i fatti di cui devo raccontare, vuoi perché gli stessi rappresentano la mia prima vera esperienza attiva in ambito musicale, vuoi per gli affetti e le amicizie coinvolte, che non rendono certo facile un approccio distaccato e razionale.
Sia come sia, erano gli anni ottanta, circa metà corsa, quindi in piena epoca crossover, con i gruppi thrash ricoperti di richiami alla scena hardcore e un fiorire di teschietti dei vari Misfits, Discharge, Broken Bones, Suicidal Tendencies, su chitarre e maglie dei nostri idoli metal. Ma era in generale tutta la situazione a spingere verso l’hardcore, i concerti, la frequentazione dei centri sociali, le chiacchiere fuori dai negozi di dischi e la lettura avida di zine fondamentali per la nostra crescita, per non menzionare un programma radio come The Outer Limitz in cui metal e accaci si alternavano senza soluzione di continuità grazie all’opera di due protagonisti di spicco della scena capitolina. Queste contaminazioni portavano con sé una spinta ancora più marcata verso l’etica d.i.y., un seme già in parte abbracciato dalla scena thrash che per prima ne aveva intuito le potenzialità: nelle nostre vite si faceva largo un cambiamento di prospettive a dir poco cartesiano, il passaggio da meri fruitori a parte attiva di un qualcosa che ormai occupava almeno tre quarti delle nostre esistenze.
Decidere di fare una zine non era cosa da poco, non c’erano i pc, né tanto meno la rete, per cui tutto era manuale e meccanico, dal contattare i gruppi via telefono o lettera (la media perché una lettera raggiungesse gli USA era di un paio di settimane se eri fortunato), allo scrivere con la vecchia cara Olivetti, dal ritagliare le foto e inserirle nella pagina con un minimo di taglio grafico per quanto punk. Insomma, come minimo toccava spenderci sopra qualche mese e ore di lavoro instancabile, con bestemmie quando sbagliavi per l’ennesima volta a scrivere un nome e dovevi cestinare il foglio per cominciare da capo, oppure quando scoprivi che una lettera era andata persa e la trafila doveva ripartire dall’inizio. Magari suonerà un po’ tronfio, la tirata da vecchio nostalgico che vuole impressionare le nuove generazioni, eppure credo sia necessario per comprendere come fare una zine fosse un atto creativo ben più complesso del mettere online un blog o una webzine e, per questo, chi arrivava fino in fondo, fosse anche per uno o due numeri come nel nostro caso, aveva comunque dedicato al progetto una passione e una dedizione (caparbietà) spesso oggi difficili da riscontrare.
Ma torniamo alla nostra storia, ovvero quella di due fratelli nati metallari ma sempre più attratti dall’hardcore e dei loro amici, persone con cui si passavano ore e ore a chiacchierare di musica, si andava ai concerti, si trascorrevano i pomeriggi nei negozi di dischi oppure nelle loro immediate vicinanze, certi che di lì sarebbero passati altri come te da cui magari potevi strappare qualche dritta su gruppi, dischi, concerti. C’era poi l’attività via lettera, con lo scambio di demo, bootleg, zine e informazioni, cui tutti noi ci dedicavamo e che forniva materiale di prima qualità per ulteriori discussioni, ascolti, scambi, ovvero la nascita della mia (credo nostra) reazione incondizionata tipo cane di Pavlov alla vista della cassetta delle lettere, una sbirciatina con la coda dell’occhio anche se ci sei appena passato o se è domenica, visto mai che il postino si fosse sbagliato. Così avevamo conosciuto i ragazzi di Torino che curavano Metal Caos e che ci aiutarono con due interviste da rivista di grido (Anthrax e Testament), un colpaccio niente male per una realtà agli esordi, soprattutto perché nel metal (fosse anche nel thrash) le cose erano sempre un po’ più complesse e burocratizzate rispetto alla scena hardcore, dove al contrario beccare nomi quali Suicidal Tendencies o Accused (tanto per dire) era infinitamente più semplice.
Poi, ovviamente, c’era il fatto di essere lì nel momento giusto, percui alcune realtà che apparivano come alla nostra portata sarebbero divenute solo in seguito nomi di culto e fondamentali per lo sviluppo di determinate scene, vedi i norvegesi Mayhem o i Crash Box, ma che al tempo non rifiutavano certo un’intervista, cui si aggiungevano le conoscenze personali -come i romani High Circle o gli anconetani Kurnalcool- o quelle via lettera come i Creeping Death, gli Schizo o i Morgana, tanto per citarne alcuni. Insomma, non era nulla al di fuori della portata di chiunque fosse motivato da seria passione e determinato a diventare parte attiva di un mondo in piena espansione e ricco di fermenti. La differenza stava nel fatto di non limitarsi più ad ascoltare un disco comprato, nel fare quel passo successivo perché il proprio essere fruitore si tramutasse in qualche cosa di ulteriore, di più significativo e creativo, nel condividere con una cerchia più larga quello che rappresentava la nostra vita quotidiana e il nostro modo d’essere, con estrema naturalezza e, soprattutto, senza alcuna pretesa che non fosse la possibilità di dare uno spazio fisico alla nostra passione.
Con il senno di poi, abbiamo capito come questo fosse in realtà un atto più significativo di quanto non avessimo pensato al tempo, in primis per noi stessi, ma anche per i pochi (o molti) che ancora si ricordano di quei due numeri e ne parlano ancora nonostante i venticinque anni trascorsi. Segno che quel piccolo atto rappresentava comunque un momento significativo all’interno di una comunità a sé, un momento di passaggio e soprattutto una testimonianza di un punto di svolta nelle nostre vite di adolescenti. Al tempo, io ero il più grande della combriccola e stavo per finire il liceo, in quei mesi mi sarei trasferito ad Ancona, per seguire altre strade e altre avventure musicali, per cui lasciai agli altri il compito di portare a termine il secondo numero che assunse dei contorni più marcatamente hardcore e vantò una lista ancor più significativa di contenuti, ma di questo parleremo un’altra volta. Grazie per l’attenzione e buona lettura.
Il primo numero di Rrroooaaarrr era ancora bilanciato tra l’originaria militanza metal e le sempre più forti pressioni della scena hardcore (le stesse che avrebbero presto contagiato l’intera redazione), con la presenza di un nutrito manipolo di gruppi come Suicidal Tendencies, Excel e The Accused a rappresentare in pieno la scena crossover del periodo. Le interviste a questi tre nomi americani erano avvenute via lettera, con la consueta trafila fatta di lunghe attese e ricerca di contatti sui dischi e sulle ‘zine specializzate. Ricordo ancora come l’arrivo delle lettere, piene zeppe di adesivi, flyer e materiale informativo di ogni tipo era sempre un avvenimento e ne custodisco ancora gelosamente buona parte.
Per i due grossi nomi thrash, Anthrax e Testament, ci avevano aiutato i ragazzi di Metal Caos -ovvero Claudio Cubito e Carmelo Giordano- con cui eravamo in contatto e che ci avevano offerto queste due esclusive per noi davvero importanti. Con i gruppi italiani Necrodeath, Schizo, Blast Furnace e Morgana eravamo invece in contatto via lettera e erano, spesso, frutto del classico ordine di demo che occupava le nostre giornate a fianco, inutile dirlo, di bootleg e tape trading. Credo che anche l’intervista agli allora sconosciuti Mayhem fosse frutto di un contatto similare, così come la chiacchierata con i Crash Box, raggiunti da Jacopo tramite l’indirizzo scovato su un numero di TVOR o sul loro disco.
Con High Circle e Kurnalcool le cose erano state decisamente più semplici, perché li conoscevamo di persona e li incontravamo spesso. I primi erano di Roma e condividevano con noi concerti e pomeriggi passati nei negozi di dischi, mentre con i secondi mi ritrovavo quando andavo a trovare i miei nonni ad Ancona, dove mi sarei trasferito quella stessa estate. In particolare, l’intervista ai Kurnalcool è stata il frutto di un freddo pomeriggio invernale dal tasso alcolico quanto mai elevato, fattore che non ne ha di certo facilitato la riuscita e ha messo a dura prova la pazienza di John Big George, uno dei due cantanti della band marchigiana ancora in azione. La vena demenziale, del resto, sarebbe tornata anche in fondo al numero, con le recensioni di Stefano e Marco, costantemente a cavallo tra passione fanzinara e cazzeggio capitolino.
Non c’è molto altro da aggiungere, tutto era nato dalle solite chiacchiere davanti a Revolver e aveva preso via via forma senza quasi ce ne rendessimo conto. Un amico che scriveva su HM aveva pubblicato un annuncio con i contatti e da lì era cominciato il passaparola, così alla fine abbiamo ricevuto qualche ordine anche da altre città e la voce cominciava a girare. Una nota a margine va dedicata alla strepitosa copertina firmata Walter Venturi e al lavoro di forbici e colla svolto da Stefano e Jacopo per l’impaginazione. Il resto lo trovate qui a vostra disposizione.
Michele Giorgi – The New Noise